C’è un silenzio che grava sulle stanze vuote del cosmo. Un silenzio che non è quiete, ma abbandono. Echoes from the Aureate Heavens, ultima discesa sonora di Antikatechon – alias del sempre più ellittico Davide Del Col – è una meditazione su quel silenzio, su ciò che giace oltre le soglie della percezione umana, là dove la luce delle stelle è solo un’eco di fuochi morti. L’album, pubblicato da Heerwegen Tod Production, etichetta polacca nota per la sua dedizione a un underground oscuro e autentico, si presenta come un monolite sonoro, freddo e impassibile. È la terza pubblicazione con la label, e forse la più compiuta, la più lucidamente disperata. Nulla qui cerca il conforto dell’ascoltatore: Antikatechon costruisce ambienti non per abitarli, ma per perdersi dentro, completamente. I tessuti sonori sono spessi come nebbie radioattive, droni che si estendono come deserti elettrificati, ritagliati da affioramenti di armonie elettroniche setose – rare e ingannevoli come miraggi nel vuoto. Non c’è melodia, non c’è ritmo. C’è solo una tensione perenne verso l’oltre, verso ciò che è antico, muto e siderale. Del Col si è mosso nel tempo tra label come Silentes e Rage in Eden, ma con Echoes il suono di Antikatechon raggiunge una forma finale, quasi terminale. La densità cosmica di questi brani evoca forze pre-umane, entità arcaiche sepolte nel firmamento o nella memoria collettiva del tempo. Ogni traccia è un varco: il passaggio attraverso una risonanza metafisica, dove l’umano è ridotto a un sussurro tra frequenze che non parlano più la nostra lingua. Eppure, in mezzo a questo abisso c’è una strana solennità. Come se Del Col, attraverso questo processo di decostruzione e isolamento totale, trovasse una forma di spiritualità terminale. È un’ambientazione sacra, ma senza dio. Una liturgia per universi spenti. A differenza dei suoi lavori precedenti, qui si percepisce un lieve affiorare di speranza ingannatrice: gocce di luce spettrale in un oceano di pece. Ma è una speranza congelata, destinata a dissolversi. Anche nei momenti emotivamente “elevati”, tutto resta imprigionato in una dimensione postuma, come se l’album provenisse da un futuro già morto. In un mondo che grida per visibilità e rumore, Echoes from the Aureate Heavens sceglie il ritiro, l’annichilimento sonoro, la contemplazione di un’esistenza disabitata. È un ascolto che non consola né intrattiene. È un manifesto dell’isolamento ontologico, una cattedrale costruita sul nulla. Per chi ha il coraggio di affrontarlo, questo disco non si dimentica. Non si ascolta: si subisce. Solo 500 copie. Giusto così. Non è musica per tutti. Forse non è nemmeno per noi. Disponibile su Bandcamp: https://antikatechon.bandcamp.com/album/echoes-from-the-aureate-heavens-2.
(Caesar)