Ex Machina, DC12V di Teatrino Elettrico + STEEL LIVE di Echran - 27.11.2010 - Cox18, Milano
di See_Zee
Ex Machina, situazione ideata e curata da Rossella Moratto, si è proposta come evento audiovisivo di RetroFUTURO. In essa, la definizione profetica dell’estetica cyberpunk stabilita negli anni ’80, dall’inusuale - fino ad allora - ed accelerato rapporto tra informatica, elettronica, cibernetica e attività umana (la stessa che ci ha condotto poi ad un’inedita prospettiva di gusto e di fruizione dell’interazione uomo/macchina), si è dimostrata linguaggio contemporaneo, fluido, accessibile e anzi, naturale modo di esprimersi e di farsi comprendere.
Ci piace indurre nell’interpretazione del titolo scelto per l’evento - oltre ai molteplici riferimenti che già la curatrice propone, dalle macchine inutili di Bruno Munari alle situazioni steam-punk, e ancora a quelle dei Mutoid Waste Co. – un richiamo al teatro greco. In esso infatti, la formula risolutiva universale per ogni situazione drammatica è presentata nell’espressione deus ex machina (letteralmente: dio che viene da una macchina, facendo riferimento all’attore che impersonava il risolutore e veniva calato giù da una sorta di gru), in cui stavolta la figura divina risulta superflua perché è la macchina a risolvere tutto, come dea di se stessa.
La macchina è protagonista eccellente.
La scelta dell’ambientazione è stata giustamente (im)perfetta: il Cox18 di Milano.
Nella cripta è allestita l’esposizione delle opere visive, a rappresentanza dell’attività artistica delle due formazioni cibernetiche della serata: Echran e Teatrino Elettrico.
Dinamiche e stanziali, digitali e fluide oppure fermate, prese al volo e fissate su supporti (più o meno) tradizionali, su tutte si fanno notare quelle di Fabio Volpi (aka Dies, di Echran), che dimostra come le sue composizioni tradiscano un percorso da architetto, abituato a indagare e sperimentare lo spazio e la materia, il medium e il supporto, il linguaggio e il messaggio, in un percorso tendente a coinvolgere cromie esclusive, sanguigne e terrigne e con loro la composizione interpretata dalla deframmentazione di un gesto, di un movimento, poi ricomposta nell’inquadratura mai banale, che talvolta viene utilizzata anche come modulo.
> ECHRAN: STEEL LIVE
Delizioso il gioco di parole tra steel live e still life (confondibili nella pronuncia e contrapposte nel significato, acciaio vivo contro natura morta): il metallo che solitamente si considera inorganico, si anima di vita vibrante, in contrapposizione alla rappresentazione morta di una natura falsata.
Infatti, su quelle stesse lastre di metallo utilizzate per la rappresentazione iconografica della sintesi performativa, appese come scenografia, si proiettano le forme dinamiche in sinestesia con la musica che nasce anche dalla loro percussione, dal loro accarezzamento, in una sorta di loop tridimensionale, una mise en abîme, un principio sonoro dell’autosomiglianza, in cui nel dettaglio si riconosce l’insieme più grande, il tutto.
Le atmosfere audio/video sono, ancora una volta, (im)perfette: sdrucite e seducenti, rispondono precisamente ai canoni del fascino cyberpunk che oggi si fa chiamare glitch; partono sottili, rarefatte, per farsi mano a mano più spesse, pesanti, come in un cyberbolero, in un crescendo sonoro che carica di emozione il pubblico, anche attraverso la manipolazione delle lastre di metallo.
Superare la proiezione fine a se stessa, la fermezza dello schermo su cui si proietta, significa superare la bidimensionalità, la fissità dello spazio, la distanza dallo spettatore, per un coinvolgimento totale e sinestetico della performance.
E nell’ondata di sonorità droniche e di evoluzioni industrial-noise, si fa spazio l’inaspettato fattore umano: all’apice della performance, la voce di Fabio Volpi mormora parole in francese sotto forma di haiku a metà tra la sottile seduzione di Prévert e il socialismo barbarico delle perfomance di un Giovanni Lindo Ferretti che fu.
> TEATRINO ELETTRICO: DC12V
Se Echran graffia il pubblico con una performance di impronta elegante e stilisticamente multiforme, il Teatrino Elettrico, con un segno caratterizzato dalla sua semplicità e immediatezza, taglia più a fondo.
Osservandone la consolle, pronta per la performance, si ha la sensazione di essere nel laboratorio di J.F. Sebastian, il progettista genetico di Blade Runner, quello che si costruiva gli amici automi da solo.
Il loro live è interpretato da macchine semoventi, meccanismi smembrati e riassemblati che autonomamente marcano cadenze e scandiscono ritmi, che ricordano la poesia dei cicli di lavorazione delle macchine industriali e di quelle domestiche.
Anche per il Teatrino è valido il principio dell’autosomiglianza, per loro però assume un accento più marcatamente visivo: le proiezioni sono infatti riprese dell’istante dell’anima del meccanismo smembrato e attivo, delle sue interiora, come in una sorta di endoscopia, tramite una cam: ciò che vedi è ciò che accade adesso e produce suono, che viene immediatamente amplificato e diffuso, nel raggiungimento di quell’aspetto sinestetico che di tanto innalza la qualità di una performance a/v.
L’operazione - per niente scontata - è arricchita da variazioni delle frequenze d’onda che inducono disturbi più o meno invasivi sulla nitidezza dell’immagine, il tutto in una sequenza di sonorità di inclinazione più industrial, anche ballabili.
Sabato 27 Novembre, al Cox18, in una piega spazio/temporale, è andata così in scena autentica estetica cyberpunk, mentre Pris ballava nell’ombra e le pecore elettriche, probabilmente, sognavano.
D’altronde è risaputo: il cyberpunk sta negli occhi di chi guarda.
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